Nel nostro ambiente di rappresentanti il cavaliere Mimmo R. è un’istituzione più autorevole del presidente della Repubblica.
In estate indossa t-shirt o canottiere su cui le macchie di unto risaltano come medaglie sul petto di un ufficiale austriaco della prima guerra mondiale, in inverno invece i maglioncini a collo alto color bordeaux coprono la pappagorgia ben rasata e profumata di Aqua Velva. Sui biglietti da visita si firma come cavaliere, ma ho l’impressione che si tratti di uno di quei titoli concessi da università maltesi dietro il pagamento di una cospicua somma.
Baffetti corti, pelle olivastra, pochi capelli, e nel cervello un patrimonio inestimabile di avventure e listini prezzi aggiornati: indossa occhiali con lenti fotosensibili, e i suoi occhi si muovono veloci tra lo schermo del pc, fisso sulla pagina facebook del cavaliere Mimmo R., e l’enorme registro marrone aperto sulla scrivania su cui annota con grafia incerta prezzi, promozioni, sconti; la poltrona in similpelle ansima sotto il suo peso, per cui di tanto in tanto egli improvvisa una dieta che gli hanno proposto in farmacia perché un suo amico regista sta per girare un film a basso costo e gli ha proposto una parte (di solito, interpreta il cattivo e allora si lascia crescere il baffetto malandrino). I suoi dipendenti gli sono molto legati: il magazzino è dalla parte opposta del piazzale, e se vedono che è arrivato in ufficio entrano per salutarlo, con un bacio sulla guancia.
Nella sala d’aspetto ci sono quattro sedie spaiate e grigie di polvere, un tappeto consumato e un tavolino in vimini ultimo reduce di un povero set di arredamento da esterno, e poi ancora una libreria economica con coppe, targhe e foto ricordo: basta poco per rendersi conto che quelle pareti non vedono un secchio di ducotone e un pennello dai tempi in cui il Palermo era ancora in serie B e lottava per non retrocedere in serie C. Tutto sommato è una sistemazione a quattro stelle, visto che da altre parti non esistono neanche le sale d’aspetto, per cui può capitare di attendere in piedi nel magazzino, prima di avere la grazia di essere ricevuti dal cliente. Comunque sono fortunato a non soffrire di allergie, considerato che nell’ufficio del cavaliere la situazione non cambia di molto: anche qui, tra cartoni, prodotti, armadi e vecchi cataloghi, polvere e grigiore regnano ovunque, ma quello che più colpisce sono le foto sulla parete alle spalle della scrivania. Un intero book fotografico del cavaliere stampato su carta Kodak: al ristorante con un cantante napoletano ormai stanco e malato, o con tizi che mi sembra di conoscere, poi con altri tizi che non mi sembra di conoscere, e infine il cavaliere da solo con il vestito buono, un cappello in testa, una mano in tasca e una sigaretta nella mano. E poi ancora lui sul palco che brandisce un microfono e un complessino che suona, lui immerso in un fiume tropicale al tramonto, le palme sullo sfondo e il fotomontaggio di una tigre sfocata e minacciosa che emerge dall’acqua. C’è persino una foto con autografo di Franco Franchi in frac, bastone e garofano all’occhiello, e c’è anche la locandina di un film di qualche anno fa, in cui il cavaliere Mimmo R. ha recitato con il nome d’arte di Jerry R.: un film sulla città violenta, o sulla violenza in città.
Oltre al cinema, il cavaliere Mimmo R. ha altre due passioni: i viaggi e le femmine, e nel corso della sua vita è riuscito a far coincidere i due interessi, approfittando del fatto che alcune aziende, fino a qualche tempo fa, erano solite ringraziare i propri migliori clienti offrendo viaggi in esotiche località a qualche decina di ore da casa e famiglia.
Non esistono posti nel mondo in cui non sia già stato, e dove non sia riuscito ad avere avventure galanti con femmine che noi umani non possiamo neanche immaginare: in Brasile aveva una specie di fidanzata con cui ha visitato tutte le località meno battute dai turisti, a Cuba fino a qualche anno fa andava spesso, ogni due o tre mesi, perché era innamorato pazzo di una mulatta che lo aveva presentato alla famiglia e infatti a ogni ritorno sull’isola di Fidel Castro lui si presentava con le mani piene di regali per amici e parenti.
Qualche settimana fa, al rientro dalle ferie, gli ho raccontato che ero appena stato in Svezia con mia moglie; mi ha guardato con malcelata compassione, e mi ha raccontato di quella volta in cui fu abbordato da una deliziosa signorina nella discoteca di un albergo di Stoccolma: la dolce fanciulla, dopo aver trascorso la notte con lui (potenza della chimica?), al risveglio lo voleva portare a tutti i costi a casa sua per fargli risparmiare il costo della stanza in hotel. Perché lì si usa così quando una persona ti piace, mi ha detto il cavaliere, ma lui in quella occasione fu irremovibile e a forza riuscì a spingere fuori dalla stanza la bellezza scandinava dicendole che doveva proseguire il viaggio organizzato con gli altri amici: infatti qualche giorno dopo affrontò il battesimo del nord (che dovrebbe consistere nell’accoppiarsi con una donna lappone, mangiare carne secca di renna o di foca e bere qualcosa con più di ottantacinque gradi di tasso alcolico) e poi incontrò un tizio della provincia di Ragusa che lassù aveva trovato moglie, e gli diceva tutto contento che in Svezia era tutto diverso, e che gli uomini potevano tradire le mogli e le mogli tradire i mariti, tutto in assoluta libertà, e nessuno si lamentava.
“Non è come qui in Sicilia”, mi ha ripetuto più volte il cavaliere Mimmo R., “lì sono cinquant’anni avanti. Potevo portarmi a letto sua moglie, se la signora, che era una bella donna, lo avesse voluto, e l’amico non avrebbe avuto nulla da ridire, ma per rispetto suo non lo feci”.
Non prendo mai appuntamenti per andare da lui: mi presento verso le 10 del mattino o dopo le 16 e spero di trovarlo in ufficio; se è già impegnato con qualcun altro e sento che stanno ancora parlando di donne o di politica, inspiro profondamente, impreco silenziosamente, apro la borsa e sul tavolino sistemo computer, quaderno, calcolatrice e penna: l’attesa si preannuncia lunga, per cui ne approfitto per rivedere la scaletta del mio intervento: saluti, convenevoli, scambio dei regali, cazzeggio su politica, donne e status del business (non necessariamente in quest’ordine), proposta di acquisto, vendita, saluti. Più che una visita di lavoro sembra una funzione religiosa, purtroppo non è prevista benedizione finale. Ma non importa quanto lunga possa essere l’attesa: prima o poi finisce, il cavaliere mi chiama e mi fa cenno di entrare. Raccolgo borsa, computer, quaderno, calcolatrice e mi alzo in piedi, dimenticando la penna sul tavolino.
– Entri, si accomodi, – fa lui.
– Buongiorno, come va? – chiedo.
Il cavaliere si alza per salutarmi: stretta di mano e scambio di baci sulle guance. Ci sediamo: odoro di Aqua Velva.
– Domandiamo a lei, – risponde con tipica cortesia palermitana.
– Abbastanza bene, grazie. Che si dice? – lo incalzo cercando di capire di che umore sia.
Sulla scrivania tiene il collutorio che gli ho regalato tempo fa: ne beve un sorso per sciacquarsi la bocca, poi sputa nel cestino il fiotto azzurro. E’ la mia giornata fortunata.
– Che si deve dire? Tutto come sempre. Novità?
– Le ho portato questo campione, spero che le piaccia, – e così dicendo estraggo dalla borsa un nuovo prodotto che gli regalo.
– Grazie, non si doveva disturbare, – mi dice alzandosi e dirigendosi verso un armadio.
Lo apre e tira fuori due o tre scatole: mi porge un foulard, due profumi economici e un barattolo da mezzo chilo di crema per capelli.
– Li porti alla sua signora.
– Grazie, lei è sempre gentile.
Ficco tutto dentro la borsa, mentre il cavaliere scatarra con noncuranza nel cestino.
Cerco di accelerare un po’ i tempi: improvvisamente mi è venuta voglia di un hamburger con patatine fritte accompagnato da una birra scura (un bicchiere piccolo, però).
– Comunque, io sono qui perché c’è un’offerta di cui le volevo parlare, – riesco a dire, risucchiando la saliva dalle papille gustative e riprendendo il controllo delle mie emozioni gastriche
– Di cosa si tratta? – mi chiede lui incuriosito.
– Sì, dunque, allora: c’è in promozione proprio il collutorio che lei usa … ma dove ho messo la penna? – chiedo iniziando a rovistare come una talpa nella borsa portacomputer.
Michele Lo Chirco – Texte / Text / Testo
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