Solo una volta, nell’Odissea, Ulisse piange: ed è quando, ospite in incognito di Alcinoo, siede ad un banchetto organizzato in suo onore e ascolta l’aedo Demodoco che canta senza saperlo le sue stesse gesta, l’espediente del “gran cavallo di legno dove sedevano tutti i più forti degli Argivi portando la morte, la nera Chera, ai Troiani”.
Canta Demodoco, ispirato da un dio, e Ulisse si commuove e le lacrime bagnano le sue guance: la guerra, i compagni, la morte, lui stesso.
‘Non aveva mai pianto prima’ commenta Hannah Arendt, ‘certo non quando i fatti che ora si sente narrare erano realmente accaduti. Soltanto ascoltando il racconto egli acquista piena nozione del suo significato’.
Ascoltare qualcuno che ci racconta una storia – la nostra storia. Che ce la racconta a voce alta, che racconta noi a noi stessi: è un modo di nascere, un riconoscimento, la ratifica della propria esistenza.
Ulisse si riconosce in quel momento, e finalmente può abbandonarsi al pianto, perché si sente.
E’ per questo che in Biblioteca leggiamo le storie. Sono storie scritte sui libri oppure nei cuori, storie di stelle, di bambini o di pesci, di alberi e mamme, storie di latte, nutrienti. Non sono storie da ascoltare, ma da sentire, alla maniera di Ulisse, perché possano indurre quell’emozione che risveglia a se stessi.
La Biblioteca dei Bambini e dei Ragazzi Le Balate prende il nome dalle pietre che lastricano la strada e dalla Chiesa che l’accoglie: è un nome arabo come quegli antichi dominatori che hanno lasciato tanti segni del loro passaggio nelle parole che ancora oggi usiamo, in molte opere monumentali e persino nel nostro DNA.
Ancora oggi le balate sono calpestate da piedi che hanno camminato tanto prima di giungere fin qui; piedi stranieri, ma non estranei a questa terra che tutto accoglie e trasforma: c’è acqua che scorre nel sottosuolo. L’acqua del fiume Kemonia e poco più in là del Papireto scorrono insieme e portano linfa e parola alla nostra città magica e contraddittoria, unica certamente.
Anche alle Balate abbiamo i nostri eroi, solo che portano vita invece che morte – forse perché sono in contatto con l’acqua del sottosuolo. Anche qui abbiamo i nostri cavalli di legno in cui entrare e serrarci vicini e aspettare il momento buono per cambiare le cose.
Ma i cavalli di legno nascono da quelli veri, come certe storie nascono dai miti: e ce n’era una volta uno, c’era una volta un cavallo. Era bello e intelligente come tutti i cavalli, e negli occhi aveva la limpidezza di sguardo che ce li fa sentire amici e confidenti, perché sono come noi, i cavalli, anzi come i migliori tra noi e come tutti i bambini.
Questo cavallo viveva all’Albergheria, che è l’antico quartiere in cui sorge la Biblioteca. I suoi proprietari ne avevano decretato il destino: sarebbe diventato un cavallo da corse clandestine. All’Albergheria non ci sono stalle e nemmeno terreno: i cavalli vivono rinchiusi chissà dove, e poi di notte o alle prime luci dell’alba escono per le corse, dopati per vincere. Nessuno lo sa ma lo sanno tutti. Nessuno però è uno dei nomi di Ulisse.
Un giorno in cui infuriava lo scirocco, uscendo dalla Biblioteca abbiamo visto i cassonetti che perdevano sangue: sono arrivati i carabinieri e hanno scoperto che dentro c’era il cavallo a pezzi, squartato. Gli sarà scoppiato il cuore, e non potendo dichiararne la morte, i “proprietari” lo hanno buttato come un rifiuto qualunque. E’ stata chiamata l’AMIA, che ha svuotato i cassonetti ma ha lasciato il cavallo a pezzi sul marciapiede, coperto da alcuni stracci, perché essendo un rifiuto “speciale” non era di loro competenza.
Il vento ha portato via gli stracci, e il cavallo è rimasto là, la bella testa con la nobile criniera e l’occhio non più limpido ma fisso e sanguigno, come quello dei pesci andati a male. Il caldo ne accelerava la decomposizione. Poi, di notte, qualcuno lo ha bruciato perché puzzava, e l’indomani c’era la carcassa carbonizzata: là, sul marciapiede, tra la scuola elementare e l’asilo, sotto gli occhi di tutti.
I bambini, che in Biblioteca frequentano fra gli altri anche un laboratorio di teatro, hanno chiesto di drammatizzare questa storia. Uno di loro, un bambino che ama la poesia “perché serve per incantare le femmine” e già riconosce la Medusa dipinta da Caravaggio, è venuto in Biblioteca e ha detto “I cavalli sono belli, io li conosco. Voglio fare io la parte del cavallo morto”. E allora il cavallo di carne e sangue s’è fatto di legno ed è diventato un espediente, e tutti i bambini ci sono entrati dentro insieme ad Emilio e a Preziosa, che conducono il laboratorio. Stretti gli uni agli altri, hanno riscritto la storia, raccontandola; e il cavallo è diventato un personaggio del circo, un cavallo funambolo – e bisognava vederlo quant’era bravo: alzando la testa e lo sguardo lo si seguiva mentre incedeva nobile sul filo, ma poi quel filo si spezzava, perché può succedere, e il cavallo cadeva e moriva; però gli spuntavano le ali, perché era abituato a volare, e così poteva decidere lui dove andare.
E così un giorno dalla Biblioteca è uscito il bambino vestito da cavallo con le ali, seguito da tutti gli altri che erano stati insieme a lui dentro il cavallo di legno della fantasia – giocolieri, sbandieratori, guitti, trampolieri, e c’erano Emilio e Preziosa e c’eravamo anche noi e tanti altri venuti apposta a vedere lo spettacolo, c’erano persino alcuni giornalisti; e questa piccola processione s’è immersa in quei vicoli dove di solito non si va perché le macchine non passano e quindi vanno solo quelli che abitano lì. E la gente e tutti quanti, mamme e papà dei bambini e nonne e nonni e chissà, anche proprietari di cavalli – tutti hanno visto la storia del cavallo che aveva le ali perché era un bambino, un loro bambino, e c’era anche un cavallo vero, che col muso ha salutato il cavallo bambino, e per un istante tutto s’è fermato – cosa stava accadendo? – chissà.
Qualcuno guardava da dietro le persiane socchiuse, qualcuno si affacciava ai balconi, per un istante c’è stato silenzio.
Poi cavallo vero e cavallo bambino hanno distinto i loro destini, ma le ali sono rimaste per ricordo.
Daniela Thomas – Texte / Text / Testo
Ringrazio Preziosa Salatino, Emilio Ajovalasit e tutto il Teatro Atlante per il laboratorio e lo spettacolo “Domani non vengo”.
Incursioni teatrali all’Albergheria, realizzato anche grazie agli ArtistiAquilani onlus e al Teatro Brucaliffo – L’Aquila nel maggio del 2011 ; ringrazio anche Tommaso Calamia per le foto.