RACCONTO DEL RICORDO
Non ricordo il giorno preciso, ma di sicuro lo stavo aspettando da molto.
Quel vestito l’avevo nascosto dentro una di quelle scatole che non si vorrebbero riaprire.
In quella stanza, quella notte, c’erano maschere passate e presenti perché la festa imponeva di travestirsi come quelli del cinema.
Decisi di aprire quella scatola. Eccolo. Nero come l’abisso di un vuoto incolmabile.
Lo indossai di nuovo. La prima volta era quando ci siamo sfiorati per la prima volta come sole sulla neve.
L’uno marzo di otto anni fa. Io ero Cleopatra.
Sbrilluccicante e misteriosa come una notte mai finita strisciavo tra la folla in attesa di te, vestito come l’Adam Kesher di Mulholland Drive. Proprio come quella volta, in quella festa.
La nostra.
La stanza divenne un cerchio stonato di fantasmi mentre io giravo su me stessa come un cartiglion rotto.
E poi quell’attimo, tutto si ferma e diviene immobile, eterno, schiacciato dentro in un cerchio di fuoco e ghiaccio.
I tuoi occhi. Ancora una volta dentro i miei.
Non ci volle molto per agganciarci come calamite con il ferro arrugginito del nostro sangue.
Non ci volle molto per scordarci di tutto il resto, di tutti gli occhi che tra le maschere ci scrutavano.
Comincia il tango nervoso all’interno di quel cerchio, tra le geometriche gelosie e l’assordante bisogno di averci, dentro un cubo di vetro solo nostro, dove potere sfiorare il vero viso sotto le maschere.
Entriamo dentro il cubo, la folla non esiste più. In sottofondo una gara per la maschera più bella. Mi sfiori la parrucca nera e ti dico che forse ti sarei piaciuta di più così.
Mi levo la parrucca, tremo. Vorrei sparire con te in altro mondo che possa capirci.
E intanto ti respiro, mi nutro di quell’odore che è la mia droga da sempre. La folla passa dietro. Non sento più rumori. Solo quelli della nostra pelle che si assaggia.
Non so neanche che ore sono. La festa è quasi finita e il cerchio sta per chiudersi.
Mi chiedo quanta forza ci voglia per perdonarti, per scordare tutto e ricominciare, mentre mi perdo dentro te come una vagabonda senza dimora.
Il cerchio si stringe sempre di più.
Non respiro quasi più. Mi dicono che mio fratello mi sta cercando. Non voglio andarmene e non voglio nemmeno per un attimo staccarmi ancora da te.
Non so quando ti rivedrò.
Il cerchio si è chiuso.
Stordita e drogata di emozioni mi volto e sussurro confusa a mio fratello che non sarei tornata con lui.
La notte è ancora bambina, mentre io mi sento una donna con le rughe di una vita tutta caduta addosso.
Stiamo in silenzio mentre raggiungiamo il nostro posto davanti il mare.
Siamo ormai due maschere scoperte.
Nessuna maschera potrà mai nasconderci.
Laura Bertuglia – Texte / Text / Testo
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