Vivere a Parigi : un sogno che si realizza

18 novembre 2012

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Salve a tutti,
mi chiamo Anna Tubiolo, sono una studentessa di lingue all’Università di Palermo. Oggi ho deciso di condividere con voi un momento della mia vita molto bello e indimenticabile : la mia esperienza di studente Erasmus a Parigi. In realtà, questa storia ha inizio molto tempo fa, esattamente quando avevo solo 10 anni. Fu a quell’età che nacque in me l’amore per la lingua francese, per quei suoni a me estranei ma affascinanti, per quel modo di porsi verso l’altro così diverso da quello che contraddistingue noi italiani, per quella musicalità che a mio avviso, caratterizza una lingua così elegante e sinuosa. Fu ad un matrimonio che sentii per la prima volta questa lingua e li stesso decisi che l’avrei studiata. Il tempo passava e sempre più forte si faceva in me il desiderio di visitare quei luoghi visti in tv, di cui avevo sentito parlare a chi invece c’era stato, di cui sognavo non potendo fare altrimenti…
Ecco che arrivata la maturità, mi iscrissi al corso di laurea in lingue, sperando di poter intraprendere un giorno quel viaggio tanto atteso e iniziai a sostenere gli esami, con un unico obiettivo: ottenere le borse di studio per poter al momento giusto, partire in Erasmus. Per me questa parola era molto più di una semplice vacanza, di un divertimento tra colleghi, di feste e serate unte di coctails e fumo; io volevo di più!
Uscì finalmente il bando di partecipazione all’Erasmus. Ero entusiasta, felice, gioiosa, piena di iniziativa, pronta a far tutto per raggiungere il mio obiettivo. Compilai i documenti necessari e inviai all’Ufficio Relazioni Internazionali dell’Università di Parigi Denis Diderot, i moduli per frequentare le lezioni del semestre gennaio- giugno 2012. Riuscii anche ad ottenere l’alloggio alla residenza universitaria Pitié-Salpetrière nel tredicesimo arrondissement. Era fatta!
Partii per Parigi il 5 gennaio 2012 piena di entusiasmo e al tempo stesso di paura, devo ammetterlo, perché non sapevo davvero che cosa sarebbe stata la mia vita di li a poco. Il viaggio in aereo fu un interrogatorio a me stessa, i dubbi offuscavano la gioia e la preoccupazione aumentava. Quasi non ero cosciente di esserci arrivata, io: la ragazza di paese che è già tanto se riesce a cavarsela tra le strade e stradine di Palermo. Eppure il mio sogno si avverava, stavo volando su Parigi. Ricordo che quando arrivai a Parigi il cielo era di un grigio cupo e piovigginava, non sapevo neanche cosa provassi in quel momento; la mia unica certezza era la solitudine, una condizione che non mi piaceva affatto e alla quale avevo cercato per molto tempo di non appartenere. Dopo la pesantezza delle mie valigie, erano le metro che mi spaventavano. Infiniti mostri di scale mobili su cui la gente camminava velocemente senza guardarsi intorno. Mi sembrava di essere in un film in versione tridimensionale, io guardavo e il tutto si svolgeva intorno a me senza un perché. Quando finalmente capii il percorso da intraprendere, sudata e stanca arrivai al boulevard de l’hôpital. L’accoglienza parigina non fu il massimo; un colpo di vento improvviso mi fece perdere gli occhiali e iniziai a piangere di collera. Non vedevo nulla. Mi misi a cercare per terra, chiedendo ai passanti se li avessero visti. Pregai in cuor mio e dopo pochi istanti li trovai: ero salva. Continuai a camminare e vidi un cancello bianco sulla sinistra, era l’ingresso della residenza. Quando fui davanti la porta, citofonai. Nessuno rispose. Citofonai altre tre volte ma niente. Ero disperata. Andai sulla sinistra dove c’erano altri due ingressi e domandai aiuto a una donna africana con un camice bianco. Giuro di non essermi mai trovata davanti a una persona più sgarbata o ostile fino a quel momento! Mi disse che non avevo citofonato bene, che dovevo riprovare, che non poteva aiutarmi. Ma che voleva dire :”Non hai citofonato bene??””, mi sedetti e meccanicamente ricominciai a piangere. Cosa fare? Cercai di chiamare casa. Era stato il primo momento in cui avevo veramente pensato che senza i miei non ce l’avrei fatta. Dio volle che una donna uscisse dallo stesso stabile e che si accorgesse che esistevo. Mi chiese cosa facessi li e si offrì di aiutarmi. Mentre tornavamo verso l’ingresso della residenza, un ragazzo uscì. Lei riuscì a fermarlo e a chiedergli di aiutarmi. Ci spiegò che la custode quel giorno non lavorava. Mi assalì un pensiero: oltre alla maleducazione della donna incontrata precedentemente, ero stata vittima della sfortuna. Volevo quasi rimettermi a piangere ma lui mi invitò ad entrare e mi condusse nel suo alloggio. Fu così gentile e carino da accompagnarmi in un’altra residenza dove fui ospitata per una notte. Quel primo catastrofico giorno a Parigi si concluse e andai a dormire con la speranza che quelli a venire potessero almeno essere migliori.
Il giorno dopo, firmai tutte le carte che Sophie la custode, mi diede e mi sistemai nella mia stanza. Le avevo parlato quasi ringhiando, ero troppo adirata e allibita : come si può lasciare solo uno studente Erasmus che arriva alla residenza? Mi passò tutto, quando vidi il mio alloggio.
Era fantastico, con due finestre: ero invidiata da tutti poiché l’unica nella residenza ad averne due; era bello, spazioso, con una veduta da favola. Cosa volevo di più? Al sesto piano, bagno in camera enorme e un letto che mi aspettava per alleviare la stanchezza del giorno precedente. Si perché la notte precedente non avevo chiuso occhio. Tutto era perfetto, dovevo solo capire come funzionava il sistema metro e imparare ad orientarmi nella città. Ero euforica: Anna Tubiolo finalmente arrivata nella città dei suoi sogni, assaggiava per la prima volta il sapore della libertà.
Iniziò un periodo fantastico per me: seguì il corso di dieci giorni sulla cultura, politica e civiltà francese tenuto da tre insegnati all’Università Paris Descartes per gli studenti Erasmus. Li conobbi molti altri ragazzi, provenienti da ogni parte del mondo, tra cui molti italiani, dai quali decisi di prendere le distanze per parlare solo in francese e per non farmi prendere dalla tentazione di cercare l’aiuto quando ne avevo bisogno. Dovevo cavarmela da sola!
Nel frattempo iniziai a seguire dei corsi di lingua nella facoltà di Linguistica dell’università Denis Diderot. Ero abbastanza libera in quanto il mio unico obiettivo era la stesura di due capitoli per la tesi di laurea triennale. Le mie giornate erano felici: partecipavo a festival sul cortometraggio, frequentavo due Università parallelamente, la Denis Diderot e la Sorbonne Nouvelle, in cui seguivo lezioni sulla traduzione audiovisiva, la sera mi dedicavo alla mia passione: le danze caraibiche, girando i vari locali parigini. Tuttavia non mi sentivo del tutto indipendente. Mi cercai un lavoro. Dapprima presso l’Apef, lavorando come baby-sitter presso una famiglia parigina da poco tornata da Singapore e poi presso una famiglia italo-francese. Furono entrambe due esperienze meravigliose, che mi permisero di imparare molto sui bambini, sull’apprendimento bilingue, su come travestendomi e scarabocchiandomi la faccia, potevo io stessa sentirmi appagata e felice. Ho fatto amicizia con molte persone, ho visto posti incantevoli e indimenticabili, ma soprattutto ho vissuto come una parigina. Tra me e Sophie la custode, è nata una splendida amicizia; ancora ricordo quando entravo nel suo ufficio e mi diceva :”Hola!”, infatti tutti i parigini mi scambiavamo per una cittadina spagnola o araba. Ricordo i festeggiamenti per la proclamazione del nuovo presidente a Bastille, ricordo i mercati, quell’odore di dolci proveniente dalla panetteria sotto casa mia. Ricordo quando accompagnavo Timothé e Chloé in piscina e a tutte le altre attività sportive, ricordo la faccia allegra del mio datore di lavoro il signor Martin e di Roberta, sua moglie quando gli portai i biscotti siciliani, ricordo quando i miei colleghi mi costrinsero ad uscire per una settimana con la corona in testa perché avevo trovato un piccolo re nel dolce La Galette du Roi,. Tante altre ancora sono le cose che non riesco a dimenticare: la mia faccia persa tra i quadri del Museo d’Orsay, le passeggiate a Montmatre, i negozi a rue de Rivoli, le stradine strette in cui mi perdevo, le mamme dei compagnetti di Timothé e Chloé che sorridevano quando mi sentivano parlare in italiano con loro.
Oggi posso dire che vivere sei mesi e mezzo a Parigi mi ha dato un senso di responsabilità che qui non avrei mai acquisito, ha cancellato la mia paura della solitudine, ha solidificato la fiducia in me stessa, ha annientato l’ansia di ciò che non conosco, mi ha insegnato che lavorare e guadagnare accrescono un senso di libertà e di rispetto verso se stessi che non conoscevo ancora.
Sono felice di aver finalmente raggiunto il mio scopo e di aver vissuto in un paese straniero, ma soprattutto nella città che ho sempre amato e ringrazio i miei per avermi sostenuto, i professori e i lettori che mi hanno incoraggiato e me stessa, per essermi impegnata e per averci creduto fino in fondo.

Anna Tubiolo – Texte / Text / Testo
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