Quando il deserto inghiotte

20 avril 2012

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ROSSELLA URRU: QUANDO IL DESERTO INGHIOTTE

Certi eventi non si capiscono mai fino in fondo finché non li si vive, ed anche allora, è incredibile come la loro percezione possa cambiare da persona a persona in base a tanti fattori, primo fra tutti la vicinanza (a persone, luoghi, cose..).
Questo è esattamente una di quelle situazioni in cui tutti, normalmente, direbbero “Ma a me non potrebbe mai succedere.. è impossibile!” ed invece è successo. Non a me, ma mai come in quel giorno ho realizzato che può succedere.

Era notte ma nell’Hammada a fine ottobre faceva ancora caldo e dormire sotto il suo cielo pieno di stelle è qualcosa di indescrivibile. A notte fonda arrivano i medici granadini che avrebbero abitato in casa con noi per tre settimane, con un ritardo pazzesco sull’orario di arrivo previsto all’aeroporto di Tindouf; nessuno presta troppa attenzione, è tardi e la fase rem è già iniziata da un bel po’, se non fosse che uno degli autisti in arabo intima di entrare in casa e chiudere le porte perché “hanno preso due spagnoli”, dice in un hassaniya reso ancor meno comprensibile dal sonno.

Ovviamente nessuno gli dà ascolto, ma la mattina dopo il dubbio su quella frase resta così decidiamo di chiedere conferma ai nuovi arrivati: se fosse successo qualcosa durante la notte loro, stranieri appena atterrati all’aeroporto, sarebbero sicuramente stati informati, se non altro per motivi di sicurezza. La situazione in casa è assolutamente calma e rilassata: i medici stanno facendo colazione e chiacchierando e nessuno sa niente in merito.
Decidiamo che o l’autista quella notte era impazzito o, cosa più probabile, c’era stato un fraintendimento.

Sicuri che non sia successo niente, andiamo a Rabouni per connetterci ad internet. Finito il solito giro di mail, controllo il sito della Repubblica per vedere che succede in Italia e scendendo nella homepage del giornale leggo “Algeria: rapiti una cooperante italiana e due spagnoli”.
Sono incredula, mi giro verso i miei compagni dicendo “Oh raga, ma allora è vero!”. Tutti a loro volta immediatamente cercano conferma in rete: non c’è dubbio.. il rapimento c’è stato!
Decidiamo che è decisamente ora di rientrare a casa, soprattutto vista la scoperta, ma una telefonata ci blocca: dietro front! Si resta a Rabouni per una convocazione urgente del Ministro della Cooperazione Saharaui a tutti i cooperanti e gli stranieri presenti sul territorio.

Ci ritroviamo al Protocollo, il luogo del rapimento, dove nessuno di noi aveva mai messo piede prima tra gente scura in volto e preoccupata, le lingue si mescolano e noi siamo avvicinati da un ragazzo italiano che è stato incaricato dalla nostra ambasciata di individuare gli italiani presenti in loco “Datemi nome, cognome, recapito telefonico, data di arrivo e di partenza e organizzazione o associazione per cui lavorate”: visto che non siamo sulla lista di persone già note alla Farnesina dobbiamo renderci identificabili e reperibili, per la nostra sicurezza.
Da lì a poco il numero dei presenti aumenta, siamo tutti stati convocati e la gente rientra dalle varie wilaya con già i bagagli pronti per tornare a casa: c’è allarme e confusione.

Riunione in spagnolo e francese, traduttori, cellulari e computer accesi, volti sconvolti: io non avevo ancora ben realizzato che cosa fosse davvero successo.
Finita la riunione tutti si fermano per capire il da farsi e allora cominciano i racconti dei presenti: sono arrivati la notte del 22 ottobre in macchina e sono andati diritti verso le prime tre casette in cui abitavano rispettivamente il ragazzo e la ragazza spagnoli e Rossella; alcuni hanno visto, altri hanno sentito, altri hanno visto il sangue quando i rapitori se n’erano già andati. Poi i dettagli si confondono: forse erano due macchine, sono scappati solo perchè qualcuno nel frattempo ha dato l’allarme, si sono diretti verso il deserto..
Tutti quelli che erano presenti quella notte sono impauriti e frastornati, noi, che avevamo saputo del rapimento un’ora prima siamo come estranei a quella realtà, non riusciamo ad essere davvero partecipi di quella tragedia accaduta a 6 chilometri da casa nostra eppure percepita come così distante.

I giorni passano e si cerca di riportare la situazione alla normalità, per quanto possibile. Ognuno riprende il suo lavoro, seppure con cautele ed attenzioni mai avute prima: gli incontri diplomatici si susseguono (ministri, consoli, responsabili ONU), non si esce dalle wilaya dopo il tramonto, a volte si torna a casa scortati, i saharaui organizzano ronde appena cala il sole, le strade di sabbia battuta sono piene di vecchie Mercedes che camminano a passo d’uomo coi fari accesi, molti ritornano in Europa.

Il tempo continua a passare e di Rossella e degli altri non si sa nulla, cala il silenzio stampa, non ci dicono più niente e ci chiedono di non dire nulla, nonostante questo i giornalisti continuano a chiamare per avere informazioni fresche da chi è in loco.

Il mio tempo nell’Hammada è finito, parto un giovedì notte insieme al gruppo di medici andalusi: nel buio dentro il pulmino scende qualche lacrima pensando alle persone e ai posti che lascio.
Arrivo in Italia un giorno e mezzo dopo e mi rendo conto che tutti qui erano molto preoccupati, che siamo finiti su TG e giornali, ma che ora – tolta la preoccupazione di parenti ed amici – il caso per il grande pubblico è chiuso: Rossella e gli altri ragazzi non sono stati rapiti, non solo, sono come stati inghiottiti dal deserto.

Il tempo passa e io arrivo quasi agli sgoccioli con la mia tesi, scritta grazie e sui Saharaui, e nello stesso periodo l’attenzione sul rapimento si riaccende: i ragazzi sono ancora in mano ai rapitori, ma il deserto li ha sputati fuori, tutti ne parlano; è brutto da dire ma è come se fosse tornato di moda!

Ed esattamente in quei giorni ho realizzato come tutto dipenda dalla prospettiva, dal luogo da cui si vive e/o osserva: in Italia non ero più l’estranea che non riusciva a mettere a fuoco la situazione nel Protocollo di Rabouni, qui mi sentivo assolutamente dentro e partecipe delle vicenda, completamente vicina alle persone che ancora oggi devono far ritorno a casa, talmente vicina da piangere davanti a Sanremo.

ROSSELLA LIBERA!
Violale – Texte / Text
Histoire écrite en italien / Storia in italiano