Lo strano caso dell’editoria con l’anima

7 novembre 2012

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Parliamoci chiaro, ero tornata a Palermo per lui. Che stupidate si fanno in gioventù. Eppure in quel preciso momento era un imperativo imprescindibile e ascoltai la voce dell’istinto, che, come prevedibile, si rivelò fallimentare. Anche perché, di anni ne avevo pochini. Di esperienza, anche. Dopo la mia meravigliosa esperienza all’estero, in cui scrivevo in una lingua che non era la mia, sentivo soltanto il bisogno di modellare il linguaggio, padrona delle parole come lo si può essere realmente soltanto del proprio. E poi, c’era lui, con cui, però, finì un mese dopo.
Ero di nuovo inchiodata alla base, flemmatica nella sua indolenza. Intollerabile nel suo caos di forme e suoni, colori e voci. Lei, dall’alto della terrazza di un palazzo nobiliare, alla strada ai piedi di un carretto fino ai suoi dintorni odorosi di mare ti sussurra di non abbandonarla. Non lasciarmi, ti dice soave, Palermo bastarda. Ti sussurra… « ti darò quiete ». Le credetti. Seguirono mesi contorti, ero cullata da lei ma mi dimenavo.
Poi accadde una cosa. Rincontrai un tipo un po’ buffo che avevo conosciuto a un concorso per talenti musicali emergenti, che mi diede una copia di un giornaletto free press. Caparbio come soltanto le menti illuminate sanno essere, era artefice di quel piccolo tesoro. Venti pagine spillate. Carta colorata che emanava profumo di arte. Quella un po’ emersa, un po’ sottobosco. Musica, teatro, libri, società e costume, tutto rigorosamente made in Palermo. Una cosa così non esisteva nemmeno a Parigi. Conoscevo il suo correlativo sul web: una sorta di appuntamentario con tutti gli eventi del giorno, daynight e nightlife, ma c’erano anche degli articoli più approfonditi per gli argomenti più interessanti. Fu un colpo di fulmine. Mi innamorai follemente del progetto e chiesi di farne parte. Volevo solo spendermi per esso, capire se ne fossi capace. Aspettai paziente il momento opportuno. Che una mattina, arrivò. Una telefonata, e c’era bisogno di me.
Penso che in questi anni, « spendermi » è un eufemismo, mi sono svenata, perché ogni mese che passava, il gioiellino acquisiva valore e pretendeva di essere lucidato. Ho perso sonno ed energie a dismisura, ottenendo in cambio sacrifici, nervi a pezzi e stress inenarrabile, ma, incredibilmente, sempre con il sorriso.
Combattere da ormai quasi quattro anni e diffondere questo amore, far sì che fosse l’amore di tanti, creare e spingere una squadra, gioire perché “i grandi” della comunicazione si sono accorti dell’iniziativa. Questo è amore: parteciparlo. Di anno in anno il perfezionarsi della grafica, l’introdurre argomenti colorati così come quelli blanche e noir, e l’approdo in edicola. La pretesa di renderlo una chiave ideale che apre le menti attraverso la cultura in tutte le sue forme, imponendo un lavoro intellettuale che sia l’unica via: riflettere per saper scegliere. Discernere tra gli anti-valori dominanti e il proprio modo, per esempio. E non abbandonare il proposito originario: illuminare la nostra città, perché non “è vero che a Palermo non c’è niente da fare”.
Sfogliando gli antichi numeri mi accorgo dell’intuizione geniale: l’approfondimento non scade mai. Ci sono argomenti senza tempo, storie senza tempo, parole senza tempo. Sempre attuali. Rileggo una vecchia intervista a Franco Scaldati: “A volte quando mi guardo indietro mi impressiona pensare di aver fatto così tante cose. Mi accorgo adesso di avere costruito un mondo che ho la necessità di condividere”.
Se Balarm animato da se stesso potesse prendere la parola (e siamo abbastanza ad avergli ormai attribuito una vera “anima”) formulerebbe questo pensiero. Ne sono certa.

Sveva Alagna – Texte / Text / Testo
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